E’ ormai nel quotidiano comune andare in contro a notizie riguardanti discriminazioni di ogni tipo, il nostro paese non ne è ovviamente estraneo, anzi, ma fino ad ora questi fatti negativi hanno interessato esclusivamente il “mondo esterno”, o almeno è questo quello che volevamo vedere.
Da quando il videogioco è diventato un mezzo di intrattenimento per tutti ed ha quindi iniziato a diffondersi maggiormente nel globo, non sono mancati la nascita di pregiudizi e sfruttamenti d’immagine, insomma gli stessi lati negativi di qualsiasi attività esistente e assolutamente non esclusivi dei videogiochi; per farci un’idea di quello che sta succedendo attualmente basta pensare a come determinati annunci di lavoro siano rivolti esclusivamente ad un sesso (ad esempio alcuni possessori di stand delle fiere come il Lucca Comics & Games non indugiano nello specificare di cercare esclusivamente personale di sesso femminile) o a come, nell’ambiente di League of Legends, venga facilmente espressa l’uguaglianza ragazza = support.
Partendo proprio da quest’ultima associazione non si può non pensare al fatto che Riot Games ha sempre condannato e punito severamente qualsiasi episodio discriminatorio avvenuto sul suo MOBA, eppure è la stessa azienda che troviamo oggi al vertice delle critiche di una grande parte della community: tutto è iniziato con la pubblicazione un articolo su Kotaku scritto dalla reporter Cecilia D’Anastasio che ha raccolto varie testimonianze sia da parte di uomini che da donne che hanno lavorato per Riot Games o che hanno partecipato ad un colloquio per un lavoro nella famosa casa sviluppatrice. In realtà le descrizioni dei fatti risalgono a ben prima della data di pubblicazione dell’articolo, infatti la stessa autrice ha precisato su Twitter che ha impiegato ben 6 mesi per completare questo testo; ve ne consigliamo la lettura nonostante la lunghezza e la lingua, il linguaggio utilizzato non è fatto intricato e l’articolo di per sé è molto scorrevole.
Farsi valere nell’ambiente
Negli ultimi anni Riot Games non ha esitato nell’invitare vari streamers nella propria sede, i quali ne hanno spesso approfittato per fare qualche ripresa dell’ambiente di lavoro nel quale si trovavano i vari rioters, in esso non sembravano esserci problemi relativi ai rapporti tra i dipendenti; in effetti sembrava essere lo stesso ambiente descritto sulla pagina del Lavora con Noi sul sito ufficiale della casa sviluppatrice.
In realtà, secondo degli anonimi dipendenti (ed ex-dipendenti) dietro ai pranzi gratuiti ed alle celebrazioni della diversità presente nell’azienda, si cela spesso una disparità relativa alla possibilità di far ascoltare la propria opinione quando proprio nella pagina relativa ai valori degli sviluppatori è presente la dicitura “Stay hungry; stay humble”, ossia una semicitazione ad una frase d Steve Jobs che in italiano potrebbe essere rappresentata come “Siate affamati; siate umili”.
Tuttavia l’umiltà sembra essere stata sostituita dalla voglia di porsi sopra agli altri, infatti alcune delle persone intervistate hanno raccontato molti episodi nei quali in realtà ad essere ascoltata era esclusivamente la persona che riusciva a parlare sopra agli altri (solitamente un uomo); questa sembrava essere una pratica molto ricorrente durante i meeting tra dipendenti come anche specificato dall’ex rioter Kristen Fuller: “E’ difficile avere voce in capitolo quando dopo aver iniziato a parlare qualcun altro inizia contemporaneamente a fare lo stesso e, notando la mia intenzione di non fermarmi, decide di alzare ancora di più la voce. Un sacco di uomini non accettano un ‘no’ come risposta”.
Ma questi non sono stati casi singolari, un’ex-dipendente ha raccontato a Kotaku che è stata spesso derisa quando ha dovuto svolgere alcuni compiti come gestire l’apparenza di una stanza o sistemarne la temperatura, fatti che sembrano essere più frequenti nei riguardi di persone più introverse della media e che l’hanno portata a lasciare l’azienda nel 2016.
Un lavoro per giocatori…
… Ma non per giocatrici?
Una donna ha raccontato che durante un colloquio del 2015 le è stata chiesta una domanda molto specifica su un raid del 2004 di World of Warcraft, non sicuri della risposta ricevuta i responsabili che se ne stavano occupando hanno passato la restante ora a fare domande per assicurarsi che la candidata stesse dicendo la verità riguardo il fatto di essere una gamer. Successivamente venne assunta, ma le fu riferito che secondo le persone che l’avevano seguita nel colloquio lei non aveva la grinta necessaria e che se fosse stata un uomo tutto questo non sarebbe successo.
Inoltre sembra che nell’azienda sia molto importante l’immagine del Rioter ideale, che spesso non corrisponde all’immagine che possono dare persone di sesso femminile bensì soltanto i veri “core gamers”; insomma per entrare a far parte di Riot Games è necessario essere dei gamers per “capire veramente le prospettive dei giocatori”, fatto che per molti potrebbe essere sostanzialmente corretto, ma secondo altre interviste effettuate queste regole in realtà vengono applicate soltanto per quanto riguarda i colloqui effettuati con persone di sesso maschile; effettivamente nell’azienda, come specificato dalla stessa Riot, sono presenti anche dipendenti non-gamers.
E la meritocrazia?
Una curiosa esperienza è stata raccontata da una donna indicata con il nome “Lacy” (nome non reale) che ha deciso di entrare in Riot Games per “compiere una missione”, ossia far arrivare una donna ad un ruolo nella leadership. I suoi tentativi furono inizialmente bloccati per vari motivi che secondo la sua opinione corrispondevano a mere scuse, ad esempio alcune delle sue candidate avevano “troppo ego” o altre “non erano abbastanza gamer”, motivazioni che possono facilmente cadere semplicemente navigando sul sito dell’azienda nel quale viene specificato che “Qualsiasi cosa tu giochi, se utilizzi tempo nel farlo, allora sei un gamer”.
Nel tempo Lacy ha capito che per lei sarebbe stato impossibile far assumere una donna in ruoli di una certa importanza, per questo dopo 3 anni ha deciso di lasciare l’azienda, ma non senza essere stata vittima di vari episodi spiacevoli: durante la sua permanenza il suo diretto superiore le aveva chiesto se “era difficile lavorare con il suo aspetto”, implicando il fatto che la sua posizione era soltanto dovuta al suo aspetto; un altro suo capo le aveva invece detto, durante una riunione con altri dipendenti, che “doveva veramente mancare a suo marito ed ai suoi bambini mentre era al lavoro”.
Le risposte dei Rioters ed il sessismo verso gli uomini
In realtà il sessismo presente in azienda non era affatto limitato esclusivamente al genere femminile, ma anche a quello maschile: durante il Penny Arcade Expo West (PAX West) ossia uno showcase dedicato ai videogiochi tenutosi a Seattle è stata presente anche Riot Games, la quale ha tenuto una specie di conferenza riservata solamente alle donne ed alle persone che non si riconoscevano nelle definizioni tradizionali né del sesso maschile né di quello femminile; agli uomini ne era stato categoricamente escluso l’accesso. Questo ha scatenato molte critiche nella community, sia perché illegale in California sia perché completamente sessista, a questa ondata di scalpore hanno risposto alcuni membri della casa sviluppatrice mediante tweet, primo tra tutti quello di Daniel Z. Klein, game designer:
The reason that "sexism against men" makes no sense as a concept is that men have the power. They're privileged in so many ways, from small invisible things, to large, outrageous things (like a confessed abuser and harasser like Louis CK can just have a comeback and that's fine)
— Daniel Z. Klein (@danielzklein) September 1, 2018
Secondo il quale, in sostanza, il sessismo contro gli uomini non ha alcun senso dato che gli uomini hanno tutto il potere e sono dei privilegiati; successivamente a queste dichiarazioni l’azienda si è espressa completamente estranea a questa linea di pensiero ed ha infatti proceduto al suo licenziamento (ed a quello dell’associato alle comunicazioni Mattia G. Lehman) per violazione della politica dell’azienda.
La soluzione
In seguito alle accuse Riot Games ha annunciato le proprie scuse e la volontà di trovare una soluzione a quella che è l’ondata di sessismo che ha colpito parte dei propri dipendenti ed infatti proprio negli scorsi giorni ha tenuto fede alla sua promessa: per occuparsi di queste problematiche è arrivata l’assunzione di Frances X. Frei che si è già occupata di situazioni difficili in termini di relazioni tra persone, infatti è stata una dirigente dell’azienda Uber, la quale app è stata particolarmente difficile da regolamentare per assicurare un’esperienza piacevole ai suoi utenti. Frances ha esordito con un annuncio decisamente ambizioso:
Riot non è interessata semplicemente a risolvere questi problemi in modo superficiale, anzi ha l’ambizione di essere in prima linea in questo campo e di fornire dei punti da seguire alle altre aziende. Io condivido questa ambizione ed è mio desiderio aiutarli in questo percorso.
Grazie a questa assunzione Riot Games ha mostrato di tenere veramente il problema, infatti essa è la prova del suo serio impegno nella risoluzione di un problema che in realtà non attanaglia esclusivamente il settore industriale, bensì l’intero globo. Sono già in programma delle vere e proprie sessione per l’educazione dei Rioters di tutto il mondo, le quali arriveranno nei prossimi mesi.